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Lo Chardonnay in Italia

“Il vitigno autoctono è una particolare varietà di vite utilizzata per la produzione di vino, coltivato e diffuso nella stessa zona storica di origine del vitigno stesso, trattasi quindi di un vitigno non trapiantato da altre aree.”

Ma cos’è veramente un vitigno autoctono?

Il Prof. Attilio Scienza ci spiega che molti dei vitigni che noi riteniamo autoctoni, come, per esempio, Moscato, Zibibbo e Greco, andando a scavare nella storia e origine ci  dice  che di italiano non hanno niente ma sono originari dal Caucaso e dalla Turchia. E non mancano di sorprese anche i vitigni internazionali, perché con l’analisi del DNA si è scoperto che alcuni di essi hanno rapporti strettissimi di parentela con varietà italianissime, come per esempio tra il Syrah e il Teroldego.

In senso stretto i vitigni veramente autoctoni, ha spiegato Scienza, sono forse 5 o 6.

Quasi tutte le varietà italiane, sono il risultato dell’introgressione genetica tra queste e il germoplasma.

Il Vino è sempre stato usato dall’uomo come strumento religioso, ne ha seguito le orme nelle sue migrazioni pre e post glaciazioni, abbiamo testimonianze di vinificazione in Cina, Iran, Armenia e Georgia risalenti a 5/7 mila anni a.C.. 

I greci, con i riti dionisiaci, lo diffusero nelle loro colonie in tutto il Mediterraneo.

La Viticoltura europea nasce dall’incrocio dei propri vitigni, con quelli caucasici portati dai greci.

La colonizzazione greca in Italia la possiamo distinguere in due versanti, quella adriatica con i vini di Antenore e quella tirrenica con le varietà di Ulisse ed Enea.

Gli intrecci si ingarbugliano con le conquiste dei romani e dei mercanti delle repubbliche marinare.

Storie di uomini che si allontanavano dalla loro terra a portando con sé le proprie radici sotto forma di piante e di navigatori che conquistavano nuovi mercati esportando ed importando varietà esotiche, portano ad avere oggi 550 varietà in Italia, tutte diversissime ma imparentate tra loro.

Nei vitigni adriatici di Antenore sono capostipiti il Trebbiano Toscano, la Garganega, il Bombino bianco e la Visparola.

I Vitigni di Enea nel Tirreno del nord sono capostipite la Termarina, imparentata con la Visparola,  la Uva Tosca ed il Moscato Bianco che è diffusa anche al sud.

Infine tra la Sicilia e Calabria i vitigni capostipite di Enea sono l’Aglianico, il Mantonico Bianco ed il Sangiovese

Albero genealogico delle varietà capostipite.

Quindi la parola «autoctono» si svuota di significato?

In questa diatriba è molto più importante riflettere su come una varietà si è adattata in un determinato areale e alla sua interazione con le condizioni pedoclimatiche.

Allora si può estendere il significato di autoctono al luogo dove il vitigno dà il meglio di sé.

In Sicilia abbiamo l’esempio del Nerello Mascalese, diffuso anche nella Sicilia occidentale ma  che è in altura che si esprime al meglio, o come il Sangiovese, da vitigno meridionale di Ulisse in Toscana ha trovato la sua “Patria” e possiamo chiamarlo in tutto e per tutto  un vitigno autoctono!

Le varietà francesi hanno trovato grande diffusione in tutto il mondo negli ultimi 40 anni, grazie alla loro grande adattabilità, supportati da antesignani studi ampelografici, e dal grande appeal commerciale.

Tuttavia  queste varietà erano presenti nel territorio italiano già da secoli prima. Il Merlot in Veneto arriva alla fine dell’800, così come per il Cabernet a Carmignano arriva grazie a Caterina dei Medici nel ‘500.

In alcuni areali italiani, le varietà internazionali hanno dimostrato di esprimersi in termini di qualità assoluti,  non solo in Toscana e non solo per le varietà “bordolesi”.

E lo Chardonnay è autoctono solo della Borgogna?

Nel suo focus sullo “Chardonnay in Italia” tenutosi il 3 Aprile 2023 al Vinitaly, Jeff Porter ci fa presente che questa varietà è la quinta bacca bianca più coltivata in Italia e la seconda al mondo.

Lo Chardonnay in Italia ha trovato diversi areali ottimali, alcuni in tempi recenti ma altri in tempi remoti.

Si pensa che l’introduzione dello Chardonnay in Italia avvenne tra la fine dell’700 ed i primi dell’800 e di alcuni abbaiamo anche dei riscontri documentati:

1830    In Alto Adige tramite l’Arciduca Johann Salvator di Austria.

1850    In Toscana nel 1863 quando Angelo Frescobaldi sposò Leonia degli Albizi. In quanto un  ramo degli Albizi si era trasferito in Francia a partire dalla fine del XV secolo.

Sempre nel suo focus, Jeff Porter ha selezionato 6 produzioni italiane, all’assaggio di esse ne abbiamo aggiunto due della Borgogna per un esame  comparativo.

Le bottiglie selezionate ci offrono degli areali e climi molto eterogenei tra loro. Differenze che si sentono all’assaggio principalmente con “verticalità” e “larghezze”, aggettivi che non si devono interpretare come qualitativi ma descrittore di “carattere”, espressioni di territorialità e condizioni climatiche diverse.

Gli assaggi confermano un eccezionale qualità dello Chardonnay in Italia, tutti si mantengono superiore ad uno Chablis village e alcuni non sono inferiori ai migliori Cru della Borgogna.

I produttori italiani in assaggio, hanno dimostrato di produrre dei vini di grande eleganza ed agilità, smarcandosi da quello stile internazionale opulento dei decenni passati; usano il legno in affinamento con misurazione, senza che questi ne prevarichino i profumi; evitano quelle sovra estrazioni che ne snaturavano le qualità.

In conclusione, invitiamo il lettore a superare lo schema autoctono/internazionale e di andare alla ricerca  di vitigni in territori capaci di regalarci sorprese e piacevoli emozioni .

Buon viaggio e buone scoperte!

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