di Daniele Vitello
AIS Sicilia, delegazione di Agrigento e Caltanisetta, in una bella serata di inizio maggio, ci ha portato alla scoperta di quei vini rossi vestiti di bianco, che vengono tradizionalmente chiamati vini bianchi macerati e, in modo più cool e più moderno, orange wine, coinvolgendo con il racconto dei produttori e con la degustazione di 13 vini guidata da sommelier e degustatori.
Vini, della cui produzione parla Plinio nel I° secolo dopo Cristo e che sembrano risalire a più di 3000 anni fa, e che oggi sembrano ritornare protagonisti.
“- Tendenza o tradizione?
– E’ una tecnica di produzione.”
Si apre così la serata, con la domanda posta dal presidente di AIS Sicilia, Francesco Baldacchino, e la pronta risposta di uno dei produttori.
Risposta che sembra spegnere il romanticismo di chi accostandosi per la prima volta al quarto colore del vino, immaginava una narrazione più poetica di un prodotto enologico che dalla notte dei tempi sembra voler ritornare ad essere protagonista.
Ma la risposta, a mio avviso, non poteva essere più schietta nel delineare un vino che rappresenta una riconquista di antiche tecniche di produzione, che punta alla sostenibilità e che trova la sua modernità nel riscoprire profumi e sapori di vitigni e territori.
Un vino che simboleggia un ritorno alle origini della vinificazione, un’epoca in cui la produzione del vino era intrinsecamente legata alla terra e ai suoi cicli naturali, sebbene oggi si utilizzino tecniche più moderne.
La sua rinascita è una celebrazione della diversità e dell’eredità vitivinicola, offrendo una finestra sul passato e sull’evoluzione della cultura del vino attraverso i secoli, e che vuole lasciare alle spalle quella produzione convenzionale-industriale che negli anni 60/70 sembra aver segnato e delineato la linea olfattiva e gusto-olfattiva, nonché del colore del vino, escludendo tutte quelle produzioni che non rientravano in determinati parametri.
Tali impostazioni convenzionali hanno anche condotto ad educare i palati a determinati gusti ed equilibri, portando ad escludere i vini non convenzionali.
Produzioni che fanno fatica ad essere codificate, mancando le categorie di riferimento. Basti pensare, per dirne una, che in etichetta sono permesse solo le diciture di bianco, rosso e rosato mentre i vini bianchi macerati sono dei vini rossi vestiti di bianco.
Tutto questo sebbene il vino ambra sia stato aggiunto alla lista dei vini speciali dall’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (OIV) e nel 2013, riconosciuto dall’UNESCO fra i beni Patrimonio dell’Umanità.
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di comprendere cosa sia un macerato e quale sia la sua origine.
La vinificazione in vino bianco la distinguiamo da quella in rosso per la macerazione: la vinificazione in rosso è quella in cui il mosto resta a contatto con le bucce per un periodo variabile da pochi giorni a diverse settimane, mentre la vinificazione in bianco avviene senza macerazione.
La vinificazione in orange, passatemi il termine, parte da uve bianche e segue il metodo di vinificazione in rosso. Il mosto viene lasciato a macerare con le bucce e spesso anche con i raspi per un certo periodo di tempo.
Il risultato finale è quello di un vino aranciato che presenta sfumature ambrate e riflessi ramati, di un’elevata complessità e struttura, data soprattutto dalla presenza dei tannini, dei polifenoli e di sostanze aromatiche e proteiche complesse.
L’uva in genere è coltivata secondo il metodo di agricoltura biologica o quella biodinamica utilizzando sistemi eco-sostenibili e ottenendo un’elevata capacità di conservazione anche senza l’aggiunta di solfiti.
Tale metodo di vinificazione viene da lontano, nel tempo e nello spazio, collocandosi nella Georgia di oltre 8000 anni fa in cui esisteva una antica pratica di vinificazione che prevedeva la produzione di vino da uve bianche con il mosto a contatto con le bucce e i raspi, fatto fermentare e maturare, anche per molti mesi, all’interno di anfore in terracotta (i kvevri) sigillate e poi interrate per una sorta di controllo della temperatura di fermentazione.
L’importanza di questo contatto tra bucce e mosto è legata al periodo storico in cui non si era a conoscenza del lievito e della sua azione ed erano gli organismi presenti sulle uve e nei residui sul fondo delle anfore a innescare il processo fermentativo.
Oggi i recipienti utilizzati per questa lavorazione sono diversi, dall’acciaio, al legno, alla terracotta, dipendendo dal risultato finale che il produttore vuole ottenere.
Le fermentazioni possono essere spontanee, ovvero senza l’aggiunta di lieviti, o innescate. E le uve? Ce ne sono alcune più adatte di altre: generalmente si prediligono quelle dotate di una buccia più spessa, in grado di sostenere lunghi periodi di macerazione. Una delle migliori è la ribolla gialla, autoctono friulano, e infatti non è un caso che la riscossa degli orange wines italiani parta proprio da due produttori friulani, Joško Gravner e Stanko Radikon che con il loro lavoro hanno dato impulso a tutto un territorio, la zona di Oslavia, regina nella produzione di questa tipologia di vini.
Ma veniamo ora alla degustazione attraverso l’assaggio dei 13 vini della serata.
Ripercorrerò i 13 sorsi secondo la precisa cadenza che i sommelier AIS hanno voluto dare ai vini in degustazione, per i quali indicherò solo il nome, l’azienda, le uve e quindi il messaggio che ha voluto lasciare il degustatore.
SOLFARE – Az. Agr. Giuseppe Cipolla (Sicilia)
Grillo 90% Catarratto 10%
L’impatto visivo di questo orange siciliano ricorda le campagne di questi giorni di maggio con il loro giallo influenzato dal sole caldo e il cielo terso, e che ricorda la ginestra, i cui profumi ritroviamo nel bicchiere insieme a degli agrumi non invadenti. Il sorso è fresco e morbido, lanciando una buona idea di abbinamento con un primo di sarde.
Insieme Orange – Feudi di Santa Tresa (Sicilia)
Insolia 80% – zibibbo 20%
Dal colore ambrato che vira sul ramato, racconta al naso di profumi di ibisco e di agrumi siciliani, preparando un assaggio in cui le note morbide della macerazione vengono bilanciate dalla freschezza e da una sapidità che ricorda quella tipica marina. Un buon abbinamento è con un formaggio semistagionato siciliano.
Arancino – Caruso & Minini (Sicilia)
Catarratto
Un colore aranciato che conferma al naso i colori di frutti arancione, come i mandarini, avvolti dai profumi di acciuga e oliva. In bocca sembra ritrovarsi la sapidità delle acciughe, per un ottimo abbinamento con un formaggio di capra ma anche con un risotto con crema di scampi.
Phitos bianco – COS (Sicilia)
Grecanico
Un naso complesso di frutta croccante, mela verde, pera e mandarino, con note salmastre e iodate. Naso e bocca percepiscono una nota fumè probabilmente frutto delle anfore di terracotta in cui riposa per 4/6 mesi. La sapidità del sorso porta a pensare un abbinamento con un primo con ragù di coniglio o con coniglio in porchetta.
8000 History – Fala (Giorgia)
Kisi
“Non chiamatele anfore, sono kvevri”, il produttore orgoglioso ricorda la storia della sua produzione, che ritroviamo nel calice. Un vino ambrato con sentori di albicocca secca e margherite di campo, ben strutturato, quasi masticabile, tannico e fresco, ben bilanciato. Perfettamente abbinabile con formaggi erborinati.
Orange – Abbazia San Giorgio (Sicilia)
Zibibbo
L’aromaticità del vitigno esplode al naso e in bocca con note di nespola e mandarino, una trama tannica ingentilita dal legno di castagno in cui affina e che lo porta ad abbinarsi senza timori con pesci grassi e salse strutturate.
La vecchietta – Funaro (Sicilia)
Insolia
“Macerato ma non troppo”, la precisazione del produttore al via della degustazione, regalandoci un prodotto frutto dei vitigni di insolia più anziani dell’azienda. Pesca e mandorla amara al naso, per poi scoprire un sorso vellutato e un tannino che implode concedendo il ritorno della sensazione amaricante della mandorla amara. Consigliato un abbinamento con crostini di pane e pomodorini semidry.
Madame Michele – Baglio Pileri (Sicilia)
Insolia – catarratto
Vino non in commercio ed ancora in fase sperimentale, esprime un carattere deciso al naso, con una melacotta e una cotognata, ed in bocca, con un tannino importante bilanciato da una buona acidità, che porta a riconoscere una nota agrumata nella retrolfattiva. Curioso, ma perfetto, l’abbinamento proposto con il tagano, tipico piatto della tradizione di Aragona.
Malvazija – Zaro (Slovenia)
Malvasia
Un naso intenso, con sentori di melacotogna e note fumè e sulfuree concesse dall’argilla in cui affina, apre ad un sorso elegante ed equilibrato. L’abbinamento con tumapersa e marmellata di limoni esalta le caratteristiche del vino.
Vino Bianco – Caruana (Sicilia)
Insolia
Il vino da tutto pasto della tradizione siciliana, che ricorda proprio le produzioni siciliane di un tempo e che conferisce carattere e personalità. I sentori di nespola e tabacco e quella viva sensazione tannica ne consigliano l’abbinamento con pecorino siciliano semistagionato e piatti strutturati della tradizione siciliana agricola.
Cinque inverni – Possente (Sicilia)
Catarrato
Il nome ricorda gli anni di affinamento prima della messa in commercio, di cui 3 anni passati in tonneaux, per un vino di identità della Valle del Belice. In bicchiere un colore oro antico apre a profumi di mimosa e a frutti surmaturi, che ritroviamo in bocca e che lo prestano ad essere abbinato con la bottarga di tonno.
Filippo II – Tenute Cuffaro (Sicilia)
Insolia
Barrique e tonneaux per un vino ricco di profumi che spaziano dalle spezie orientali, come lo zafferano, a spezie più dolci, come la vaniglia, e ricco di sapore per un abbinamento non azzardato con polenta fritta e faraona.
Vej 240 – Podere Pradarolo (Emilia Romagna)
Malvasia di candia aromatica
L’etichetta con il suo 240 ricorda i giorni di macerazione per poi condurci alla scoperta del vitigno aromatico che ritroviamo nel colore e nei profumi. Il colore è quello proprio della malvasia in piena maturazione, come i profumi di frutta fresca appena colta, per poi lasciare spazio ad un sorso solido, elegante e persistente. Un buon sigaro è il miglior compagno di questo macerato.
Si conclude qui la degustazione dei 13 macerati. Un crescendo di profumi e di sapori per svelare la personalità di vini antichi ma moderni, dal bagaglio olfattivo e gusto-olfattivo originale e coinvolgente, a volte fuori dagli schemi ma proprio per questo unico.
Prima di lasciarci vi svelo che il termine orange wine è stato coniato proprio in Sicilia nel 2004 da un importatore inglese di nome David Harvey, il quale si trovava presso la cantina di Frank Cornelissen sull’Etna, e vedendo i vini macerati e non potendoli identificare diversamente ha utilizzato per la prima volta il termine di vino arancione, determinandole la storia più recente.